Marco Squicciarini, direttore delle Scuole Santa Maria
Trent’anni fa nasceva la nostra scuola media La Traccia. Il desiderio condiviso di genitori e insegnanti di un luogo che avesse a cuore l’educazione della persona attraverso l’insegnamento di materie veniva accolto dall’ospitalità delle suore della Santa Croce di Menzingen, che chiudevano la centenaria avventura dell’Istituto Santa Maria. Dallo stesso desiderio e dalla bontà di tredici anni di esperienza veniva alla luce, nel 2005, la scuola elementare La Caravella: perché incontrare allievi e famiglie all’inizio del percorso è desiderabile. E perché un metodo e una cordialità verso la conoscenza e verso gli adulti iniziano ben prima dell’età critica dell’adolescenza. Iniziano in famiglia e continuano, se la scuola si concepisce luogo di educazione, sui banchi e nelle aule. Cosa ci muove oggi, dopo questo pezzo di storia che ha edificato tanti allievi, ha accompagnato tante famiglie, ha visto crescere numerosi insegnanti (alcuni dei quali ex-allievi)?
Quest’anno ho avuto l’occasione personale di lavorare con un allievo per sostenerlo nelle sue fatiche scolastiche. Una delle tante occasioni, nata per necessità, di entrare nel vivo della relazione educativa e didattica che ogni insegnante vive quotidianamente. La tentazione è, ogni volta, quella di arrendersi ai limiti, alla contabilità di ciò che sembra impedire il cammino della conoscenza. Invece accade puntualmente che una strada si apra, che si intravveda la possibilità di scoprire insieme la via che può portare alla meta ultima: la soddisfazione di imparare e la gioia di crescere. I limiti ci sono, ma sono la condizione che rende possibile, personale e attuale questo cammino. Basta chinarsi sull’altro, allievo o classe che sia, con fiducia e stima, desiderosi di scoprire questa strada nuova adesso. Un’altra occasione mi è stata data durante una visita ad una lezione nella scuola elementare quando un’allieva ha alzato la mano per chiedere all’insegnante: “ma è vero?”. Voleva sapere se il racconto del fine settimana proposto da quest’ultimo fosse realmente accaduto. Era un racconto per introdurre un argomento di studio. Che domanda potente! I nostri allievi ci chiedono di essere presenti con tutto noi stessi mentre insegniamo. Esigono la carne e il sangue di una persona vera, viva, che è veramente presente nella relazione educativa.
Mi colpisce molto quando questa presenza umana integrale si gioca e si esprime nella lezione, investendo la didattica per raggiungere gli allievi. Perché nella scuola il compito è questo: educare insegnando. Non solo educare e nemmeno solo insegnare. I due poli sono legati, pena una perdita di umanità o la riduzione dell’esperienza a mero scambio di informazioni. Un’allieva ha portato dalla Russia una copia magnifica del quadro di Rembrandt “Il ritorno del figliol prodigo” dedicato ad una parabola evangelica (Luca 15, 11-32), che avevamo già guardato a lezione. Ci eravamo lasciati interrogare da questo abbraccio inconcepibile per la misura umana, eravamo penetrati nel testo per capirlo, scandagliarlo. Ora ogni giorno abbiamo l’occasione di lasciarci guardare da quel perdono accogliente di cui siamo bisognosi. Cosa dicono questi fatti? Cosa significano di fronte ai grandi problemi che la scuola vive? Cosa c’entrano con la discussione sulla riforma dei livelli in matematica e tedesco? Come illuminano la sfida dell’inclusione cui la scuola faticosamente tende? Come rischiarano i problemi che entrano nella scuola in un tempo in cui l’emergenza educativa è sotto gli occhi di tutti? Mi pare che ogni passaggio, grande o piccolo, istituzionale o individuale, debba incardinarsi sulla consapevolezza di chi è il soggetto umano. L’individuo, fatto per conoscere e scoprire, esige questa ampiezza di testimonianza, questa totalità di umana presenza. Ci chiede, per muoversi, di esserci. Ci chiede di esigere tanto, senza accontentarsi. Ci chiede di essere guardato. Di essere aperto al nuovo che può accadere a lezione. Di amare la nostra materia. Ci chiede di essere disposti a cambiare e a commuoverci, adesso, davanti a lui. L’insegnante ha ogni giorno una grande occasione: riscoprire nelle pieghe della propria umanità la verità e la consistenza dell’io, per affacciarsi alla relazione educativa in modo persuasivo e affascinante. Solo così potrà diventare un educatore ogni giorno, di nuovo. Siamo grati a queste scuole, che hanno permesso lo spettacolo di questa consapevolezza e di questa crescita. E ci auguriamo che questo cammino, se Dio lo vorrà, possa proseguire per toccare e muovere altri nella scoperta del bene più prezioso che possiamo guadagnare e consegnare alla storia: l’educazione.
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