Primadengo, o dell'apologia della presenza

Perché all’inizio della prima media proponiamo una settimana di convivenza?
Proprio perché è convivenza, cum-vivere, cioè “vivere insieme” in un luogo in cui i ragazzi sono aiutati nella loro avventura non solo dalle attività proposte da noi insegnanti, ma anche e soprattutto dall’esperienza del teatro.

Un esercizio bellissimo era “il fiore che si apre”, in cui i ragazzi dovevano partire da una posizione rannicchiata e chiusa, alzarsi lentamente, aprirsi davanti alla luce di scena e sorridere.Il primo giorno c’era un ragazzo così legato e timido da non riuscire neanche a presentarsi davanti agli altri ma che, dopo una settimana di lavoro paziente della docente di teatro Flavia e complice anche il fatto di aver visto noi adulti fare lo stesso esercizio, è riuscito l’ultimo giorno ad andare in scena e ad aprirsi sorridendo, stando davanti agli altri senza paura.

In fondo penso che sia proprio questa l’essenza della proposta del teatro: aiutare a dare voce ai desideri profondi del cuore, attraverso il confronto con la presenza dell’altro e la guida di un adulto.

    

Ma la settimana a Primadengo non è stata solo teatro, ma anche uscite sul territorio, ascolto di racconti, attività di scoperta: tutte le attività proposte hanno avuto lo scopo di aiutare a percepire la positività della realtà e i ragazzi hanno risposto con grande spontaneità e cordialità.

      

      

In una serata di pioggia abbiamo letto I Promessi Sposi (versione per ragazzi adattata da Umberto Eco), una storia in cui il reale protagonista è il Destino buono dell’uomo.

Leggere ad alta voce, per me e per la collega Caterina Montagner, docente di italiano, non è semplicemente proporre una storia, ma tentare di accarezzare l’anima e i desideri di chi ci ascolta, attraverso la nostra voce e l’energia creatrice dell’autore. Probabilmente ci siamo riusciti: ne erano testimoni gli occhi spalancati di una ragazza che non stava ascoltando il racconto ma si vedeva che lo stava vivendo con gli occhi della fantasia e del cuore e che avrebbe voluto rivivere quella magia anche a casa, tanto che alla fine ci ha domandato dove comprare il libro!

In un’altra serata non particolarmente serena, siamo comunque usciti “a riveder le stelle”.  Abbiamo avuto a disposizione pochi spiragli di cielo senza nuvole; questi sono però bastati perché potessi far osservare loro il cielo con il telescopio.

Alzando gli occhi, i ragazzi hanno cominciato a domandare senza sosta, a tentare di riconoscere i disegni e i contorni delle costellazioni.

Sarebbero necessarie molte pagine per riportare tutte le domande che mi hanno fatto, guardando le stelle, Giove, la Luna ed altri pianeti: “Ma l’universo è infinito? E avrà una fine o durerà per sempre?”, “Quanto è distante la Stella Polare?”  “Perché le costellazioni hanno tutti nomi di personaggi del mito?”

Ogni domanda era piena di meraviglia; probabilmente avevano guardato molte volte il cielo notturno. Quella sera però sembrava che la volta celeste fosse più conosciuta, meno distante, quasi amica.

Ci sono stati anche momenti in cui i ragazzi mi apparivano distratti. In realtà ripensandoci non è stato proprio così: loro infatti continuavano a guardare me e gli altri adulti e prova ne è stata il loro ringraziamento a ciascuno di noi prima di tornare a casa.

I ragazzi ci hanno guardato e continuano a guardarci sempre. Sta a noi educatori, genitori ed insegnanti coltivare il desiderio buono che ho visto brillare nei loro occhi, aiutare questo impeto positivo verso la realtà, indirizzarlo ed ordinarlo.

In definitiva, se mi si chiede “cosa è stato Primadengo?” rispondo che è stato la dimostrazione che l’educazione non può essere altro che un’amorevole compagnia alla scoperta di sé e della positività delle cose.


Paolo Laoreti, docente di scienze e matematica

 


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